Finalmente una parola chiara dalla Cassazione in tema di onere della prova del nesso causale nella responsabilità medica

Finalmente una parola chiara dalla Cassazione in tema di onere della prova del nesso causale nella responsabilità medica
14 Settembre 2017: Finalmente una parola chiara dalla Cassazione in tema di onere della prova del nesso causale nella responsabilità medica 14 Settembre 2017

Albo signanda lapillo: la sentenza n. 18392/2017 della Terza Sezione della Cassazione civile è una di quelle che meritano di essere ricordate.

E’ risaputo, infatti, che quello della responsabilità medica è un mare in tempesta, sul quale soffia da anni il vento impetuoso di una giurisprudenza di legittimità ispirata da un crescente favor creditoris.

Al punto da aver coniato regole di giudizio tutte sue, diverse o addirittura contrarie a quelle che vigono negli altri settori della responsabilità civile, e di aver suscitato persino l’interesse del legislatore.

Uno dei pochi temi che pareva al riparo da questo incessante maestrale era quello della ripartizione dell’onere probatorio, per il quale, fra l’altro, gravava sul paziente l’onere di provare il nesso causale fra la condotta del medico e/o della struttura sanitaria e il danno lamentato.

Ma così non è stato, perché negli ultimi tempi il revisionismo giurisprudenziale aveva iniziato a soffiare anche sulle acque tranquille di questa piccola baia.

Infatti, secondo alcune pronunce della stessa Terza Sezione (come la n. 5590/2015), l’onere probatorio che “grava sulla struttura e/o sul medico… non si limita alla prova della correttezza della prestazione, ma si estende pure alla dimostrazione, in positivo, che l'esito infausto del trattamento praticato sia dovuto ad un altro evento individuato (preesistente o sopravvenuto) indipendente dalla propria volontà e sfera di controllo”.

Sulla base di questo presupposto si era affermato che “qualora rimanga incerta la causa dell'esito infausto, la situazione processuale di sostanziale incertezza circa l'assenza di colpa del medico, e circa le cause dell'aggravamento, non può esser fatta ricadere sul paziente, ma deve gravare sulla struttura e/o sul sanitario, che non riescono a liberarsi dalla propria responsabilità”.

Non occorre essere dei grandi giuristi per comprendere che laddove il medico e/o la struttura abbiano provato “la correttezza della prestazione”, e cioè l’esatto adempimento della propria obbligazione, in realtà non può esservi “incertezza circa l’assenza di colpa del medico”.

Egualmente risulta incomprensibile per qual motivo, data la prova del loro adempimento, costoro sarebbero tenuti a provare anche la diversa causa dell’aggravamento delle condizioni di salute del paziente, sotto pena di veder risorgere una loro responsabilità civile la cui insussistenza avevano già dimostrato...

Era, dunque, evidente la confusione concettuale tra la prova dell’adempimento (nei termini previsti dall’art. 1176 c.c.), cui è tenuto il debitore della prestazione, quando questo sia contestato dall’altro contraente, e la prova liberatoria dalla responsabilità per inesatto adempimento, dovuta dal debitore che intenda esonerarsi dalla responsabilità per il proprio inadempimento, prova questa che ha ad oggetto la sua non imputabilità e dunque la dimostrazione che esso fu dovuto ad una diversa causa (come previsto dall’art. 1218 c.c.).

La sentenza n. 18302/2017 rimette ordine.

E lo fa con encomiabile chiarezza concettuale.

Essa distingue, infatti, tra la “causalità relativa all’evento ed al danno consequenziale” quale “elemento costitutivo della fattispecie dedotta in giudizio” che, come tale, ricade nell’“onere di allegazione e di prova del danneggiato” e la “causa di non imputabilità dell’impossibilità di adempiere, in quanto ragione di esonero da responsabilità” che è invece “tema di prova del debitore/danneggiante”.

Solo qualora sia verificato l’inesatto adempimento dell’obbligazione cura (e non quando sia stata invece provato il suo adempimento), il debitore/danneggiante, per sottrarsi alla responsabilità, dovrà provare la diversa causa del danno che abbia reso non imputabile il proprio inadempimento (e cioè “ sul piano oggettivo il dato naturalistico della causa che ha reso impossibile la prestazione e sul piano soggettivo l’assenza di colpa quanto alla prevenzione della detta causa”).

Tutto ciò non riguarda quindi “l’onere di provare il nesso di causalità fra l’azione o l’omissione del sanitario ed il danno” per il quale il paziente “domanda di essere risarcito”, che “grava sul creditore” della prestazione e quindi sul paziente stesso, secondo le regole generali della responsabilità contrattuale.

Questo il nuovo principio di diritto coniato dalla sentenza ed affidato dal collegio all’Ufficio massimario:

«Ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, è onere del danneggiato provare il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) e l'azione o l'omissione dei sanitari, mentre è onere della parte debitrice provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l'esatta esecuzione della prestazione; l'onere per la struttura sanitaria di provare l'impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile sorge solo ove il danneggiato abbia provato il nesso di causalità fra la patologia e la condotta dei sanitari».

Più chiaro di così…

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